sabato 30 luglio 2011

tu sei luce intensa, goccia di pura vita

Dopo tanta attesa il momento è arrivato.

Un po' di dolori sedati da un'amorevole camomilla che il tuo angosciato papà mi ha preparato la mattina, prima di andare a lavorare.

Ce l'ho mandato io, nella fogna, a lavorare.

Perché non volevo credere fosse già giunto il tempo.

O forse, chissà, perché volevo restassimo ancora un po' da soli, tu nel mio pancione ed io lì a contenerti, solo per qualche altra ora.

Cominciano le perdite.

E sono inequivocabili, Solo il ginecologo equivoca. Beato lui

Arriva la nonna. Stiriamo un po'.

Chiama Cristina, mi propone di andare a fare due passi.

Il sole è già alto, ma io ho quasi perso tutte le acque.

Mi faccio convincere a chiamare il tuo papà.

Che vola e in meno di mezz'ora è qui.

La strada per 'lospedale è trafficata, ma non bloccata. Procediamo tranquillamente.

Io so che ci resterò, che stai per nascere e voglio portare con me la nostra valigia. Ma il tuo papà e la nonna ancora credono ad un falso allarme e così la lasciamo a casa. Mi faccio convincere.

Dall'ingresso in ospedale è tutta una giostra.

Assegnazione di un letto in corsia (non cè disponibilità di una stanza singola inutile insistere) e il letto è pure in overbooking.

Già c'è un'altra paziente che lo occuperà fino alle 16.

Occorrerà aspettare.

Cominciano gli esami di rito.

Prelievi.

Ecografia (è lultima volta che ti vedo attraverso un monitor).

Monitoraggi Batte forte il tuo piccolo cuore.

Flebo.

E visite tante, troppe visite.

Passa così tutta la giornata e scende la sera. Ho sempre saputo che saresti nato di notte e quella che sta per calare sembra perfetta per nascere. Chiedo alla nonna di restare con me.

Il travaglio comincia improvviso, in camera. Soffro tanto. Stringo la mano di tua nonna, la mia mamma, mai come in questi momenti così vicina.

Non sei solo tu che vuoi nascere. Sono anche io che ritorno un po' dentro di lei. E lei sembra soffrire più di me, quei dolori di mamma che a suo tempo non ha potuto, o saputo, provare.

Il dolore diventa insopportabile e sembra spezzarmi il fiato, non riesco più neppure a camminare da sola, via allora in sala travaglio.

Nuova visita.

La dilatazione è già a 5 cm forse l'epidurale non si pu più fare.

E no!

Non me ne frega niente che frattanto s'è messo a piovere, che s'è fatta mezzanotte, che lutero s'è dilatato troppo ho sofferto finora senza rompere ora voglio un po' d'analgesico! Perché è una scelta di civiltà, come dice Moretti in Aprile. E perché sulle ideologie non si scherza.

Il dolore al ventre è sempre più forte.

Fitte intense più ravvicinate.

Sono sola.

Napoli, vista dai finestroni dell'ospedale, è bellissima.

Il mare è nero. Il Vesuvio calmo. Niente di male, lo si capisce, può accadere stanotte.

Ho con me il cellulare (mai mollato, tutto il tempo). Chiamo il tuo papà. Cerco di tranquillizzarlo. Credo di avergli detto Nascerà questa notte. Riesci a venire?

Meno di 20 minuti e papà c'è. Lì accanto a me, in sala travaglio, per qualche attimo.

Mi infonde tutto la forza che mi serve, tutto il coraggio che gli manca.

Ma perché mai per dare la vita dobbiamo soffrire così? Forse perché solo così, davvero, ne capiamo il valore. E il prezzo della vita. Il senso stesso dell'essere madre.

Arrivano anche l'illuminato ginecologo e il desiderato anestesista.

Sono passate 2 ore. Con i miei piedi mi sposto in sala parto e salgo su un freddo lettino.

Tante spinte. Hai un giro di cordone intorno al collo e non riesci a venir giù.

Passa mezzora.

Un grande fuoco sotto.

Mi fermo. L'ultima spinta. Sono le 2.39 dell'11 aprile.

Entra papà in sala parto e tu sei già, nudo, indifeso e bellissimo sul mio petto.

Hai occhi grandi. Braccia forti. E tanti, tanti capelli neri.

Fuori è buio pesto e schizzichea. Qui dentro tu sei luce intensa, goccia di pura vita.

Ciao, amore mio. Ben arrivato.



Nadesh (post originale)

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